Come le start-up stanno combattendo il lavoro in nero

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Non è un problema di natura recente, ma ancora oggi si trova ad occupare un ruolo molto importante nei pensieri degli italiani e delle istituzioni del nostro Paese: è il lavoro in nero, una autentica piaga che purtroppo dimostra di essere ancora viva nella Penisola. Lo confermano i dati esposti dal Censis e da Confcooperative, secondo i quali l’occupazione irregolare in Italia è cresciuta del +6,3% nell’ultimo anno. Stando ai dati di settore, poi, questa percentuale si traduce in cifre altrettanto preoccupanti: si parla di circa 3,3 milioni di persone che oggi lavorano in nero, con un livello di evasione in termini di contributi che supera i 10 miliardi di euro. Questa situazione è figlia del tentativo di aggirare la normale competitività del mercato, visto l’abbattimento dei costi (-50%) per le aziende che scelgono questa strada.

Lavoro in nero: lo combattono le start up

La lotta al lavoro in nero impegna da decenni le istituzioni italiane, e questa non è certo una novità. Da oggi, però, un supporto potenzialmente decisivo giunge da alcune start up, che stanno facendo di tutto per impedire una ulteriore proliferazione di questa pratica. Ne rappresenta un esempio virtuoso Helpling, un marketplace di pulizie disponibile anche a Milano che tramite la sua piattaforma assicura condizioni di lavoro migliori e un pagamento online facile e sicuro. Considerando che il mondo delle pulizie domestiche è uno dei settori maggiormente afflitti dalla piaga del lavoro in nero, aziende come questa sono molto preziose. Un altro esempio è dato dall’app Strajob: un applicativo che funziona come un registro, e che permette ai lavoratori di documentare le proprie ore di lavoro. Poi, in caso di vertenze legali, potrà essere chiamato in causa questo registro come prova a testimonianza del lavoro in nero.

Perché il lavoro in nero va scoraggiato?

 

Il lavoro in nero non prevede il versamento dei contributi a carico del datore, e questo è un fatto conclamato: non si tratta, però, dell’unico svantaggio che questa modalità porta al lavoratore, ma anche a chi lo impiega. Essendo illegale, infatti, la suddetta pratica prevede sanzioni pecuniarie molto salate a carico di entrambi: si parla di cifre che possono arrivare fino a 36.000 euro, aumentate per via dell’intervento del Jobs Act contro il lavoro in nero. Ecco spiegati tutti i vantaggi per il lavoratore di una eventuale denuncia e della conseguente regolarizzazione della propria posizione. Per chi è complice attivo di questo sistema, inoltre, la legge prevede anche una condanna per falsità ideologica, punita con una reclusione in carcere che può arrivare fino a 24 mesi. In casi più complessi, poi, la condanna può salire fino a 3 anni di reclusione.