Tentata estorsione, il pm chiede tre anni di carcere

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Concorezzo. Tre anni di reclusione per lei e due anni per il marito per tentata estorsione in concorso: è la richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero del Tribunale di Monza nei confronti dei coniugi che avrebbero per anni vessato due fratelli imprenditori aventi l’attività di fianco alla loro abitazione.

Il presidente del Collegio giudicante Letizia Anna Brambilla ha fissato il prossimo 7 maggio come data della sentenza. Oggi, lunedì, in aula sono stati ascoltati i testi e al termine hanno voluto essere interrogati anche i due imputati. La donna, che esercitava la propria professione in città, ha già una condanna in primo grado per truffa ai danni di una invalida ottantenne, che era stata persuasa del fatto di avere il malocchio. Stavolta lei e, forse, il marito (che smentiscono categoricamente) avrebbero organizzato una tentata estorsione ai danni di due imprenditori.

I FATTI. Secondo la versione dei due fratelli, nel 2010 era stato stipulato un contratto di compravendita per un terreno: “Siccome dopo tanti anni eravamo riusciti a comprare il capannone che ospita la nostra attività avevamo deciso di ampliarci su un piazzale, che però era anche di proprietà, per un centesimo, altre famiglie. Praticamente per un metro quadrato di piazzale c’eravamo messi d’accordo per versare loro 1500 euro”. La situazione si complica tra il 2013 e il 2014 per una presunta e non meglio definita relazione tra l’imputata e uno dei due imprenditori, cui sarebbero seguite richieste di denaro forse per mettere sotto silenzio la situazione (23mila euro tramite assegni post-datati, mentre in azienda sarebbero stati registrati altri ammanchi per 80-90 mila euro, forse da collegare alla stessa vicenda). L'imprenditore vessato si era recato più volte presso la locale stazione dei carabinieri a raccontare le presunte violenze subite dai due imputati, ma incomprensibilmente non aveva mai voluto formalizzare la denuncia. Il procedimento penale è infatti partito autonomamente su segnalazione dei carabinieri. La sua reticenza nel rispondere alle domande ha irritato anche la presidente del Collegio giudicante: “Ho come l’impressione che non ci voglia raccontare. Non mi prenda in giro”.

Secondo quanto raccontato in aula, seppure con versioni discordanti nei dettagli, uno dei fratelli aveva notato ammanchi in azienda per oltre 50mila (si è parlato anche di 80-90mila euro in una successiva deposizione). A quel punto l'altro fratello aveva raccontato di aver dato dei soldi alla professionista e al marito di lei perché minacciato. Due dipendenti hanno confermato le risse all’interno del capannone e un carabiniere ha relazionato sulle diverse occasioni in cui fratelli si sono recati in casermaper raccontare le presunte aggressioni.

LA DIFESA. I due imputati hanno negato le versioni dei due imprenditori. Secondo il marito, che ha giurato di non aver “mai picchiato nessuno”, “i 23mila euro erano la somma pattuita per il pezzo del piazzale, da versare quasi tutta in nero per volontà dei due fratelli”. Per lui “non c’è stata alcuna storia amorosa” tra sua moglie e uno dei due imprenditori. La moglie ha confermato che i 23mila euro erano la somma pattuita per il pezzo di piazzale, “perché un centesimo non era un metro quadrato ma sette metri quadrati e quindi volevamo l’equivalente di un box”. Sugli assegni post datati ha affermato di averli accettati “perché i due fratelli mi avevano detto che erano in difficoltà con l’azienda e io mi sono comportata da amica dando loro tempo per trovare la somma”. Siccome nella scrittura privata si parla di “svariati altri soldi” versati a lei da uno dei fratelli, il Pm le ha chiesto conto, ma lei si è trincerata: “Non parlo della mia vita privata. Del perché ho ricevuto quei soldi sono fatti miei e averli presi non costituisce reato”. Infine ha tenuto a sottolineare di aver “restituito i tre assegni non per paura di essere denunciata ma per non far sapere della cosa a mio marito”.

LE RICHIESTE DEL PM E DELLA DIFESA. Il Pm ha dunque chiesto 3 anni di reclusione per lei e 2 anni per il marito per tentata estorsione in concorso. Secondo lo Stato “è inverosimile il pagamento ritardato di 4 anni per 7 metri quadrati di piazzale, come è inverosimile il valore di 23mila euro per 7 metri quadrati a Concorezzo: non stiamo parlando di Porta Venezia a Milano…”. L’avvocato difensore ha cercato di smontare l’impianto accusatorio: “Si dibatte di quattro episodi di violenza, ma solo in uno era presente il marito. Nessun dipendente ha riferito durante i diverbi di questioni economiche e quindi più che di estorsione si più parlare al massimo di reati minori. Come si può dire che scagnozzi sono stati mandati in spedizione punitiva presso il capannone quando ascoltando i testi si scopre che la cosa si è chiusa con una stretta di mano? Significa che al massimo la signora ha mandato delle persone a chiedere informazioni sui soldi. Riguardo alla relazione sentimentale, non necessariamente si trasforma in relazione extraconiugale. Abbiamo visto che la principale persona offesa si è mostrata molto reticente. E gli ammanchi sui conti privati e aziendali non sono provati da documentazione. Per questo chiedo l’assoluzione per entrambi dal reato contestato”.