Con La Ghiringhella alla scoperta dell’arte di Segantini
Concorezzo. Sabato 3 gennaio sarà possibile partecipare alla visita guidata alla mostra su Segantini, a Palazzo Reale a Milano, grazie ad una iniziativa organizzata dalla libreria La Ghiringhella. Partenza alle 9 e rientro per le 13, la visita prevede il trasporto in pullman e l’accompagnamento di un esperto. Iscrizioni entro il 18 dicembre, costo 25 euro (Info: libreria “la ghiringhella” – 0396049180).
Il 15 gennaio 1858, ad Arco in Trentino, “terra irredenta”, nasce Giovanni Battista Emanuele Maria Segatini (la n se la aggiungerà più tardi), da Agostino e Margherita de’ Girardi, di ventisei anni più giovane.
La famiglia ha gravi difficoltà e si sposta di comune in comune per usufruire di sussidi. Agostino è spesso assente, alla ricerca di miglioramenti economici che non trova, e il piccolo Giovanni resta solo con la madre ammalata. Rare le occasioni che li vedono riuniti. Sino a che il 3 marzo 1865, a trentasette anni, Margherita muore.
In aprile il padre porta Giovanni a Milano e lo affida alla sorellastra Irene, sua figlia di primo letto, operaia modista dall’esistenza travagliata, che non ha tempo di curarsene. Il 20 febbraio 1866 Agostino muore all’ospedale di Rovereto.
A soli otto anni Giovanni è orfano di entrambi i genitori.
L’8 ottobre 1867, la Luogotenenza di Innsbruck accorda “a Irene Segatini e al minor di lei fratello Giovanni Segatini il permesso per l’immigrazione nel Regno d’Italia”. Il documento non farà però testo quando l’artista sarà dichiarato renitente alle leva austriaca. Segantini morirà nella convinzione che l’Austria non l’avesse mai svincolato. Perciò non poté ottenere la cittadinanza italiana, malgrado i tentativi, e rimase a vita senza passaporto.
Il 10 agosto 1870 Giovanni è arrestato a Milano per ozio e vagabondaggio e passa due anni al riformatorio Marchiondi, avviato all’arte calzaturiera. Lo fa uscire, il 31 gennaio 1873, l’altro fratellastro, Napoleone, che lo ospita a Borgo Valsugana, dove ha una posteria-bottega fotografica, e lo instrada al lavoro di fotografo, formazione di cui Segantini farà tesoro.
Sarà l’ultimo soggiorno in Trentino. Per l’equivoco della leva, non potrà più tornarvi senza incorrere nella pena di morte.
Milano – Brianza – Milano
A fine 1874 Giovanni torna a Milano per studiare pittura all’Accademia di Brera, ottenendo riconoscimenti e facendo amicizia, fra gli altri, con Previati, Longoni, Morbelli, Bistolfi.
Per mantenersi, lavora come garzone di bottega presso l’ex garibaldino Luigi Tettamanzi, pittore di bandiere, insegne e paramenti d’ogni tipo. Nell’estate 1879, ormai modificato il cognome da Segatini in Segantini, espone alla mostra dell’Accademia Il coro di Sant’Antonio, che attira l’attenzione della critica e gli procura i primi collezionisti nella borghesia milanese più colta, che sarà il suo ambiente anche dopo il trasferimento in Svizzera.
Vittore Grubicy, giovane mercante dal sicuro intuito e già ben collegato con Londra e Amsterdam, lo prende sotto tutela, educandolo e finanziandolo in cambio del controllo esclusivo sull’opera.
Nell’ottobre 1881, sotto l’egida di Grubicy, Segantini lascia Milano per la Brianza (Pusiano, Carella, Caglio), dove, a contatto con la natura, trova la propria fonte iconografica in quei paesaggi miti, spesso velati di nebbia e animati da una semplice e rituale quotidianità contadina.
Ha accanto Bice Bugatti (sorella di Carlo, il futuro ebanista liberty di fama internazionale), che gli sarà compagna per la vita “in unione libera”, dandogli quattro figli: Gottardo, Alberto, Mario e Bianca. Nel 1883, all’Esposizione Universale di Amsterdam, ottiene la medaglia d’oro per la prima versione di Ave Maria a trasbordo. È l’avvio di un ininterrotto iter espositivo da protagonista alle più prestigiose manifestazioni europee e internazionali, sino a San Pietroburgo e Pittsburgh.
Dall’agosto 1885 al febbraio 1886 realizza, a Caglio, la prima opera monumentale, Alla stanga, che chiude la stagione della Brianza. All’esposizione nazionale di Bologna del 1888, il Governo italiano acquisterà il dipinto per la Galleria Nazionale di Roma, dove tuttora si trova, di recente sottoposto a un accurato restauro.
Appena ultimato il grande quadro, Segantini rientra a Milano per alcuni mesi, dedicandosi a committenze di nature morte e ritratti.
Savognino
A fine estate 1886, di nuovo insofferente della città e alla ricerca di un luogo da trasformare in pittura, Segantini sceglie il borgo grigionese di Savognino, a 1213 metri di altezza, in una larga valle soleggiata sul crinale ovest dello Julierpass. Si installa con la famiglia all’albergo Pianta, prima di affittare la grande casa ai confini del paese. Bice assume come aiuto Barbara Huffer, la Baba che sarà modella di tanti dipinti.
Il tenore di vita, alto anche per le laute entrate che gli viene garantendo la fama, innesca il perenne barcamenarsi fra debiti e morosità nelle tasse cantonali, che mettono a rischio i “permessi di tolleranza” svizzeri.
A Savognino Segantini rimane otto anni. È il soggiorno più lungo nello stesso posto e il più decisivo, in cui sviluppa il passaggio dalla pittura tonale alla nuova tecnica divisionista e rielabora le imperanti tesi simboliste in un personale naturalismo di ispirazione panteista, sino alla visionarietà delle Cattive madri.
È significativo, se non anomalo, che a lui guardino, invitandolo ripetutamente alle proprie esposizioni, sia l’arte ufficiale europea che le avanguardie dissidenti come il Groupe des XX di Bruxelles o le nascenti Secessioni di Monaco, Dresda, Vienna.
In Italia è una svolta decisiva, sia tecnica che tematica, la Triennale di Brera del 1891, che segna il rivoluzionario debutto pubblico del divisionismo e, per Segantini, l’affermazione con Le due madri.
In effetti, Segantini continua a frequentare Milano e a coltivare i rapporti con letterati e musicisti lombardi. Alberto Grubicy, che nel frattempo ha estromesso il fratello Vittore dalla galleria, gli mantiene uno studio pied-à-terre in città. Con Alberto il rapporto è meno vincolante che con Vittore, tanto che, dopo i successi in area tedesca, si avviano contatti con altri mercanti: Arnold a Dresda, Schultze, i Cassirer e Felix Koenigs a Berlino.
Nel frattempo, continuano i guai finanziari e, a fine maggio 1894, le autorità svizzere lo obbligano a lasciare Savognino.
Maloja – Soglio – Schafberg
Il 18 settembre 1899 Segantini sale in una baita sul ghiacciaio dello Schafberg, con il figlio Mario e Baba, per lavorare alla parte centrale del Trittico. Alcuni giorni dopo è colpito da un violento attacco di peritonite. I soccorsi arrivano troppo tardi.
Il 28 settembre muore, assistito da Bice, Mario e l’amico dottore Oskar Bernhard. Il 29 la salma è portata a valle, nella chiesetta di Maloja, dove Berry lo imbalsama e il pittore Giovanni Giacometti esegue l’acquerello che lo ritrae sul letto di morte.
La fulminante parabola finisce a quarantun anni, all’apice della gloria, lasciando attonito il mondo. Erano passati cinque anni da quando Segantini si era stabilito a Maloja, nel tardo giugno 1894, dopo un trionfale soggiorno a Milano per presenziare alla sua mostra nelle stanze del Castello Sforzesco, e intanto eludere i creditori di Savognino.
La scelta era caduta su Maloja per l’ammaliante paesaggio, terra mitica, ma sicuramente anche per la presenza del Kursaal Palace, meta esclusiva dell’intellighenzia e dell’alta società europee, avide d’arte, di gloria ed emozioni. Per loro, durante la lunga stagione turistica, Segantini era divenuto figura di riferimento. Aveva affittato lo chalet Kuoni, la più raffinata delle sue abitazioni. Poté abitarlo meno di quattro anni, se si escludono i tre inverni trascorsi nella più mite Soglio, dove si spostava con famiglia e servitori. Nel 1895, alla prima Biennale di Venezia, la giuria internazionale aveva assegnato il premio del Governo italiano al Ritorno al paese natio.
All’inizio del 1898 era fallito, invece, per mancanza di fondi, il progetto del Panorama, destinato all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Opera corale, oltre i limiti della cornice, Segantini l’aveva ideata per svelare al mondo le bellezze dell’Engadina e finalmente imporsi, benemerito, alla comunità e al potere svizzeri. Deluso, si era totalmente concentrato sull’elaborazione del Trittico, cosicché l’ultima stagione è dominata dalle esplorazioni sotto la neve, spesso al calar del sole, in alta quota per renderepanoramicamente l’infinito e venerato paesaggio alpino. Vi avrebbe lasciato la vita.