Ecco i nomi dei dieci concorezzesi cantati nel cd “Uomini e no”

Concorezzo. Dieci storie, dieci leggende antiche e moderne, dieci ballate. Ci sono tanti modi per raccontare la storia di Concorezzo, e quello presentato in anteprima venerdì sera al cineteatro San Luigi è un modo originale, piacevole, coinvolgente.
L’assessore alla Cultura, Identità e Tradizione, Mauro Capitanio, ha deciso di fare un salto nel passato all’epoca dei fogli volanti di fine Ottocento, quando per le strade della Lombardia (e anche di molte altre regioni), in occasione di fiere e mostre, le notizie di cronaca e quelle romanzate venivano cantate da artisti di strada.
Certo il tempo è passato e oggi i cantastorie prendono il nome di “Radio Corneliani”, apprezzato gruppo folk agratese che, su testi di Gianluca Grossi (con la consulenza dell’Archivio storico di Concorezzo), ha inciso un album con dieci ballate ispirate a personaggi concorezzesi o indelebilmente legati al nostro paese.
Un prodotto che potrà diventare anche un originale regalo di Natale.
Venerdì sera al San Luigi erano presenti circa 200 spettatori.
“Il cammino che porterà alla nascita del primo CD musicale dedicato alla storia di Concorezzo è ufficialmente iniziato – spiega il vicesindaco Capitanio – I Radio Corneliani hanno dato vita ad uno spettacolo delizioso, fatto di pezzi ispirati alla tradizione popolare con un occhio alle consolidate culure europee e d’oltreoceano. Brani mai banali, ritmo coinvolgente, esecuzione impeccabile. In mezzo a questa performance, quattro camei, i primi di una serie di dieci, dedicati a volti più o meno noti che hanno fatto la storia del nostro borgo o alimentanto leggende popolari. In questi mesi continueranno i lavori di registrazione del CD che dovrebbe vedere la luce nella primavera del 2014 per poi essere presentato con un grandioso concerto durante Concorezzo d’Estate del prossimo anno. I brani saranno dedicati ad Elio Vittorini, Giuseppa Villa, Angelo Villa Pernice, San Rainaldo, Giuseppe Levati, Luigi Grassi, Sibilla, Enrico, Alexandra, Stefano Confalonieri”.
Concorezzo.org vi presenta in anteprima esclusiva nomi, storie e testi dei dieci personaggi.
1. ELIO VITTORINI
Non si può dire che Elio Vittorini, uno dei più grandi scrittori italiani del dopoguerra, autore del celeberrimo “Uomini e no”, sia un concorezzese; tuttavia le sue spoglie riposano proprio qui, in una tomba privata del cimitero che sorge sulla provinciale Milano-Imbersago. L’autore di “Uomini e no” nacque a Siracusa nel 1908 e s’innamorò di una concorezzese durante la guerra: si chiamava Ginetta Varisco, figlia di un industriale del legno, che nel primo Novecento fu anche sindaco del borgo. Il loro amore durò venti anni, fino alla scomparsa dello scrittore avvenuta nel 1966. Vittorini fu sepolto al cimitero monumentale di Milano; ma avendo scritto una lettera nella quale diceva che il suo sogno sarebbe stato quello di poter riposare al fianco della sua amata – quando Ginetta lo seguì, dodici anni più tardi – il suo feretro venne trasferito nella cittadina brianzola, dove tuttora riposa.
La canzone: UOMINI E NO
Uno scrittore, un tipo un po’ all’antica
Si aggira in piena notte per la strada bombardata
Uomini e no, Ginetta e americani
Figliocce scostumate che già pensano al domani
Un paradigma, un’allucinazione
La guerra non è solo il martellare di un cannone
Milano nebbia, Milano esagerata
C’è un comico che preferisce al vino l’insalata
E c’è una storia da raccontare
L’han preso a schiaffi e l’han portato al mare
E ce n’è un’altra da esorcizzare che fa sì e no così
RIT. Ciccio combinerai un pasticcio
Se non ti fai vedere
Se non ti fai cullare dalle autorità
Un partigiano figli non ne ha
Ciccio perennemente alticcio
Col cuore da leone
Convinto che Berlino presto affonderà
Ma chissà quanto tempo ci vorrà
Un’emergenza, un’illusione
Un girotondo e già sarà televisione
E la scommessa di un caporale
Non vale tanto quanto il boom di un temporale
E arrivederci, parenti tutti
Son pronto anch’io a servir la patria coi coscritti
La vita è bella, ma non è un sogno
Ci vuol coraggio e un po’ me ne vergogno
E c’è una storia da raccontare
L’han preso a pugni prima di Natale
E ce n’è un’altra da esorcizzare che fa sì e no così
RIT. Ciccio combinerai un pasticcio
Se non ti fai vedere
Se non ti fai cullare dalle autorità
Un partigiano figli non ne ha
Ciccio perennemente alticcio
Col cuore da leone
Convinto che Berlino presto affonderà
Ma chissà quanto tempo ci vorrà
2. GIUSEPPA VILLA
È l’aiutante di una delle prime maestre d’asilo di Concorezzo, Francesca Monticelli. È figlia di un calzolaio di Concorezzo vissuto nell’Ottocento. Presta il suo servizio presso una vecchia struttura oggi scomparsa (inaugurata nel 1871 presso Villa Corio, attuale Villa Zoia), dando prova della sua bravura e dell’importanza di una scuola dedicata ai più piccoli. È appoggiata da donna Rachele Villa Pernice, dalla marchesa Corio e poco dopo – in occasione del trasferimento dell’asilo nel Palazzo comunale – dal sindaco Angelo Spinelli, proveniente da Brugherio, autore di importanti opere di ammodernamento del paese. Il brano concentra la sua attenzione sulla giovane età di Giuseppa e sull’ipotesi di un misterioso spasimante che le fa la corte.
La canzone: È GIA’ TARDI
È già tardi questa sera
Forse è meglio che io vada
Io che cosa, tu non sei più tu
Tu che cosa non combini
Con quei quattro ciarlatani
Tu soltanto un giocattolo
Nelle mani di
Del primo che si butta e resta lì
Ad aspettare fino a quando tu
Non gli dirai che è ancora presto amore
RIT. Dimmi dimmi che, dimmi dimmi se, dimmi dimmi che
Innamorata ancora
No che non lo sei, che non lo sarai, no che non lo sei
Se non di me
È una notte così strana
Che potrei strappar la luna
Da un bel cielo e regalarla a te
Vorrei essere sincero
E non nasconderti che t’amo
Ma ho paura di vedere che
Non sei come sei
Non sei nemmeno l’ombra che tu fai
Sei tutto e non sei niente ma se vuoi
Dillo anche me che è ancora presto amore
RIT. Dimmi dimmi che, dimmi dimmi se, dimmi dimmi che
Innamorata ancora
No che non lo sei, che non lo sarai, no che non lo sei
Se non di me
Un’ombra che non c’è
Nel male che mi fa
Il cielo dopo una tempesta in questa piccola città
Ancora ti vorrei dire
Vorrei parlare
Di come è bellissimo starti a guardare…
3. ANGELO VILLA PERNICE
Fu il primo sindaco del paese dopo l’unità, nel 1860. Dimorava in una delle più prestigiose ville di Concorezzo, il palazzo omonimo, dove, peraltro, il futuro re d’Italia Vittorio Emanuele II e il generale Cialdini sostarono l’11 giugno 1859 sulla strada per Solferino. Fu presidente per diversi anni della Camera di Commercio meneghina, consigliere al Comune di Milano, deputato provinciale e per diverse legislature parlamentare del Regno d’Italia. Una curiosità: la moglie Rachele (1836-1919) nacque da una relazione tra Antonietta, moglie di Giulio Beccaria, e Cesare Cantù. Da questo “respiro” libertino che fa eco all’epopea del patriziato milanese di metà Ottocento, prende spunto questa canzone, che immagina il Villa Pernice alle prese con una suadente fanciulla da poco conosciuta, che gli fa perdere la testa.
La canzone: LADY D
Da quando ci vediamo, è tutto così strano
Da quando ci vediamo il sole non tramonta più
Da quanto siamo stati, vicini e poi spaiati
Qualunque cosa basta a scioglierci nel cielo
Da quando l’orizzonte, non sembra più lo stesso
Da quando l’aria non è l’aria che dicevi tu
Fantasmi del passato, briciole di memoria
Ecco l’ennesimo ripetersi di un sogno
RIT: Lady D, lady La-Di-La, se questa storia comincerà
Lady D, lady La-Di-La, si vedrà
Da quando ci crediamo è tutto più speciale
Da quando ogni momento è buono per un dejàvu
Le frasi dette a caso, storielle da imparare
Biciclettate insieme in riva al fiume o al mare
Da quando l’algoritmo dei nostri intendimenti
Ha indovinato il tiro del piacevole che fu
Da quando è tutto nuovo, compreso il Medioevo
Compresa la tua vecchia giacca con i fiori gialli
RIT: Lady D, lady La-Di-La, se questa storia comincerà
Lady D, lady La-Di-La, si vedrà
Da quando il mondo intero non ha più pregiudizi
Da quando l’imbrunire non impensierisce più
Da quando sei arrivata, la vita è risbocciata
Non è più solo la carriera di un templare
Da quando il mondo ride, è tutto così bello
Chiamarla non è un eufemismo eterna gioventù
Da quando alle domande, non servono più riposte
Tu la miglior risposta che si possa dare
RIT: Lady D, lady La-Di-La, se questa storia comincerà
Lady D, lady La-Di-La, si vedrà
4. RAINALDO DA CONCOREZZO
Di certo il paese doveva essere ben diverso da quello che è oggi, quando, a metà del Duecento, venne alla luce Rainaldo da Concorezzo, una delle figure storiche più importanti del borgo; prima vescovo di Vicenza e in seguito arcivescovo di Ravenna, poi proclamato santo. Gli storici ritengono probabile (ma non è confermato) che proprio a Ravenna abbia conosciuto Dante Alighieri e abbia avuto rapporti con lui in ambito religioso e politico (peraltro morirono entrambi nella città emiliana, a meno di un mese di distanza l’uno dall’altro). La sua fama è anche legata al fatto di avere assolto i Templari dell’Italia settentrionale accusati di adorare una misteriosa divinità pagana, Bafometto, e per questo sottoposti a pesanti torture. San Rainaldo riposa in un sarcofago romano nel Duomo di Ravenna.
La canzone: DOLCE STIL NOVO
Mi ha detto Dante, mi chiamo Dante
Non son distante, dalla politica del libero pensante
E’ edificante, entusiasmante e al tempo stesso sconvolgente
Mi ha detto Dante, per un istante
Mi ha detto Dante, come un’amante
Il preveggente, ma quale libero pensiero ricorrente
Probabilmente, l’uomo è la pecora migliore fra le tante
Mi ha detto Dante, liberamente
RIT. Mi ha detto Dante Dante dimmi dammi anche del tu
Mi ha detto Dante un giorno tutti avremo la tv
Mi ha detto Dante presto scriveremo cartoline da Parigi
Mi ha detto Dante che fra un po’ sapremo tutto dei crossopterigi
Mi ha detto Dante, l’intransigente
Mi ha detto Dante che il salvagente
Non serve a niente, se chi lo indossa è una persona intelligente
Amaramente, oggi che vince è soprattutto l’arrogante
Mi ha detto Dante, terrificante
Mi ha detto Dante, febbricitante
Non valgo niente, se non c’è modo di convincere la gente
Quando presente, che anche un gorilla può svegliarsi presidente
Mi ha detto Dante, semplicemente
RIT. …
Mi ha detto Dante, sono un mutante
Un commediante, l’imprevedibile percorso di un aliante
Emozionante, come un tramonto che sbiadisce all’orizzonte
Mi ha detto Dante, perdutamente
Mi ha detto Dante, il comandante
Coscientemente, fin troppe volte l’uomo è peggio di un serpente
Ma non è niente, non è soltanto una questione di quoziente
Mi ha detto Dante, inutilmente
RIT. …
Mi ha detto Dante, letteralmente
L’inferno è niente, ma il paradiso è molto meno stravagante
Seduta stante, ci puoi giurare con o senza una scusante
Mi ha detto Dante, rapidamente
Mi ha detto Dante, pubblicamente
Non serve a niente, cercare un modo per redimere la mente
Stupidamente, il pregiudizio è solamente un’attenuante
Mi ha detto Dante, saputamente
RIT. …
5. GIUSEPPE LEVATI
Nasce a Concorezzo il 19 marzo 1739. Figlio di un falegname si appassiona fin da piccino al disegno, alla pittura e alle decorazioni. Trasferitosi a Milano segue i corsi di importanti maestri d’arte, divenendo un esperto della prospettica. Nominato “pittore generale dei palazzi di corte”, presta il suo talento per l’abbellimento di numerosi edifici e monumenti, fra cui il celeberrimo teatro milanese La Scala. Affronta il neoclassicismo lombardo lavorando a Lainate, Cinisello Balsamo e Cassano D’Adda e servendo la potente famiglia Borromeo, fino a ottenere, nel 1802, la cattedra di prospettiva all’Accademia di Brera. La sua fama si diffuse fino in Russia. Ancora oggi Giuseppe Levati è considerato uno dei più grandi decoratori italiani.
La canzone: COLORI
Giallo come un girasole
Rosso come una ciliegia
Verde come la campagna
E chissà il cielo che colore avrà
Viola come la vendemmia
Nero come una mattanza
Freddo come la paura
E chissà il cielo che colore avrà
RIT. Ma sono io un pittore, e saprò io che fare
Niente da temere, niente da strafare
Che il cielo si fa anche così
Do, re, mi, fa, sol, la, si
Giallo come la polenta
Rosso come un peperone
Fresco come la rugiada
E chissà il cielo che colore avrà
Grande come una montagna
Comodo come un divano
Gelido come la neve
E chissà il cielo che colore avrà
RIT. Ma sono io un pittore, e saprò io che fare
Niente da temere, niente da strafare
Che il cielo si fa anche così
Do, re, mi, fa, sol, la, si
Bella come una farfalla
Bianca come l’innocenza
Rosa come una mattina
E chissà il cielo che colore avrà
Bianco come una cicogna
Grigio come un’incombenza
Strana come l’incertezza
E chissà il cielo che colore avrà
RIT. Ma sono io un pittore, e saprò io che fare
Niente da temere, niente da strafare
Che il cielo si fa anche così
Do, re, mi, fa, sol, la, si
6. LUIGI GRASSI
La campagna di Russia di Napoleone Bonaparte del 1812 si risolse con una pesantissima sconfitta francese, con la morte di oltre 400mila soldati, centinaia di dispersi e prigionieri. Colpa del “piccolo caporale” che non aveva tenuto conto del nemico più terribile: il freddo (il cosiddetto “Generale inverno”). Già a ottobre la temperatura era scesa sottozero e, a Smolensk, in piena ritirata, arrivò a toccare i -26 gradi. Chi riuscì a scampare al nemico non poté nulla contro il gelo e così la Grande Armata venne annientata. Alla luce di ciò sorprende sapere che fra i pochi sopravvissuti alla campagna di Russia ci fosse anche un concorezzese: Luigi Grassi. Di lui si sa pochissimo: è appena citato da uno studioso (Natale Farina, autore di “Memorie di Concorezzo”, del 1932), che menziona il nome senza riportare altri aspetti della sua avventura umana. Ma è abbastanza per comporre una canzone.
La canzone: AVANTI MARSCH
Freddo cane porco mondo, giraci intorno, giraci intorno
Freddo cane porco mondo, forse nessuno si salverà
Freddo cane porco schifo, non un amico, non un amico
Freddo cane alla malora, non un sole mi basterà
Cala la nebbia alla frontiera, non ho paura, non ho paura
Cala la notte all’improvviso, ecco il cecchino la benedirà
Suona suona anche l’orchestra, ma non a festa, ma non a festa
Suonan suonan le campane per chi il domani non lo vedrà
RIT. Vita, morte e girasoli, forte tuonano i cannoni
Neanche Dio ci fermerà, reggimento avanti marsch
Suona suona cornamusa, non una musa, non una musa
suona suona indiavolata, quando l’orchestra si fermerà
Campanile di San Pancrazio, San Nicola, san Nicola
Presbiterio, Precenicco, Campacavallo che passerà
Cartoline dall’inferno, dalla radura, dalla radura
Cartoline e in paradiso forse qualcuno ci arriverà
Sentimenti allo sbaraglio, dov’è lo sbaglio, dov’è lo sbaglio
Sentimenti alla deriva e pensierino a mamma e a papà
RIT. Vita, morte e girasoli, forte tuonano i cannoni
Neanche Dio ci fermerà, reggimento avanti marsch
Tallonati dalla fame, baionetta al contrattacco
C’è un somaro, c’è un somaro che qualcuno divorerà
Napo, Napo, Napoleone, non un buffone, non un buffone
Napo, Napo, Napoleone, sull’attenti che passerà
Scartamento un po’ ridotto, scartamento di confine
Mi si gela anche il colbacco, come a casa ci tornerò
Santa Madre che voi fate, che le piaghe del Signore
Che le piaghe del Signore siano impresse nei nostri cuor
RIT. Vita, morte e girasoli, forte tuonano i cannoni
Neanche Dio ci fermerà, reggimento avanti marsch
7.SIBILLA
Il boom economico del secondo dopoguerra si fa sentire presto anche a Concorezzo, con la nascita di numerose fabbriche e industrie che danno ospitalità a centinaia di lavoratori. La gente vive un clima di euforia, gli stenti patiti durante il conflitto mondiale sono un vecchio ricordo e la “ricostruzione” permette di vivere ogni cosa con speranza e ottimismo. I più audaci sono i giovani, convinti che si stia aprendo una nuova era all’insegna del benessere e della tecnologia. Fra questi c’è anche una ragazzina tutto pepe di nome Sibilla (figura immaginaria), appassionata ballerina.
IL MONDO DI SIBILLA
Io sono una ragazza, sognare è il mio mestiere
Mi piace andare a scuola, sì però non mi appartiene
Io sono come un cirro e appena posso volo
E al primo alito di vento m’abbandono
Io sono una scommessa, già vinta come se
Fosse già stato tutto scritto quello che ora c’è
Al di là delle cose semplici e persone
Al di là di qualunque timida canzone
E troppe volte penso che
Non sarei stare senza te
E qualche volta penso che
T’innamorerai di me
Io sono una ragazza, ma gioco a nascondino
Mi metto già la gonna, ma per ora niente vino
Mi piace andare a spasso, vedere tanta gente
Nuotare al largo, al mare, senza il salvagente
Io sono come l’aria, non sono come te
Mi piace fare shopping e poi vedere cosa c’è
Di bello da raccontare
Di questo grande mondo così particolare
E troppe volte penso che
Non sarei stare senza te
E qualche volta penso che
T’innamorerai di me
Io sono una ragazza, sono fatta così
Dipende un po’ dai giorni, non è sempre venerdì
Ma so pensare e poi so danzare
Non ho certo paura di testimoniare
Quel che mi capita
So che significa
Questa vita che sta sbocciando
D’importante che sta accadendo
E troppe volte penso che
Non sarei stare senza te
E qualche volta penso che
T’innamorerai di me
8. ENRICO
Abitava a Rancate e fu uno dei più pericolosi malviventi della storia concorezzese. È da poco finita la Prima guerra mondiale e il borgo sta ancora patendo le difficoltà dovute alle conseguenze belliche che hanno provocato pesanti perdite umane. Molti vivono di espedienti e le malefatte sono all’ordine del giorno. Enrico è uno dei criminali che incute più timore, colpevole, addirittura, di avere ucciso un uomo. Lo temono tutti, al punto che, al suo arrivo in paese, molti negozi sprangano l’ingresso evitando qualunque contatto. In realtà non sappiamo molto della sua vita, a parte il fatto che sia stato ritrovato morto in circostanze misteriose (quasi sicuramente assassinato) in un cascinale della periferia monzese.
La canzone: ANGELICA
Un farabutto, un impostore
Così mi chiamano le streghe del paese
Il manolesta, la manomorta
Son nato figlio di una stella malridotta
Faccia da lupo, mette terrore
Più di qualunque pestilenza o temporale
E arrivederci all’indomani
Anche all’inferno di nessuno avrò pietà
Non ho un amico, né una signora
Disposta a soddisfare qualche mia pretesa
Per questo vivo da delinquente
Maledicendo tutta questa brava gente
La prima volta, venti anni or sono
L’ho pugnalato con l’alare di un camino
E tutto questo per mostrare
Che anche all’inferno di nessuno avrò pietà
RIT. Angelica perché mi tocca piangere da solo questa sera
Angelica cos’è che mi fa stare così male a primavera
Ma non rispondi più, perché sei andata via anche tu
Perfino adesso non più in prigione
Sfido le nuvole e la legge del taglione
Disposto a tutto pur di riuscire
A farla franca un’altra volta e non morire
Ma il cielo grigio e manomesso
L’ha già deciso non mi ridarà il permesso
Di cancellare il mio destino
Per cui all’inferno di nessuno avrò pietà
Ma c’è una cosa che mi rincresce
Si chiama Libera e l’ho vista che era in fasce
Parlava poco, parlava piano
Figlia di un principe venuto da lontano
Cercava amore, disperazione
Un buon amico con il quale chiacchierare
Ma sono un figlio della strada
E anche all’inferno di nessuno avrò pietà
RIT. Angelica perché mi tocca piangere da solo questa sera
Angelica cos’è che mi fa stare così male a primavera
Ma non rispondi più, perché sei andata via anche tu
9. ALEXANDRA
Nel Seicento la peste si abbatté anche in Brianza e nel milanese causando migliaia di decessi. Nemmeno Concorezzo ne fu immune. Lo prova una sperduta e un po’ dimenticata cappelletta quasi sul confine con Agrate Brianza: ricorda le numerose vittime del temibile morbo, che proprio in quel punto vennero seppellite, scongiurando nuove epidemie. Alexandra (nome preso in prestito da un’opera dello scrittore russo Turgenev, noto per il suo realismo) fu una di queste, una giovinetta qui ritratta circondata da parenti e amici, increduli di fronte all’inesorabilità di un male tanto crudele, che non risparmiava nessuno.
LA MORTE DI ALEXANDRA
Senti la pioggia come cade
La notte che ci assale
Il vino da stappare non conviene più
Non servono i capricci
Non basta più pregare
Benché paradossale sia chiamarla gioventù
RIT. E adesso dove andiamo
E adesso che si fa
E adesso che facciamo
Se Aleksandra morirà
Guarda, che faccia da paura
La febbre la consuma
Ma il fuoco fallo andare, andare ancora un po’
Signora non è il caso
Potrebbe rinsavire
Mi stia, mi stia a sentire non la mollerò
RIT. E adesso dove andiamo
E adesso che si fa
E adesso che facciamo
Se Aleksandra morirà
Forza preparami un intruglio
Capace di ascoltare
Capace di guarire tutto quello che non va
Ma arrivano i pinguini
Arrivano le mosche
Fa tanto troppo freddo, in questa lurida città
RIT. E adesso dove andiamo
E adesso che si fa
E adesso che facciamo
Se Aleksandra morirà
E adesso, adesso tutto tace
Che brividi la pace
Perfino il vento per un po’ non soffierà
Magra consolazione
La primavera arriva
Sbadigliano le rose per l’eternità
10. STEFANO CONFALONIERI
Il suo nome è legato ai Catari di Concorezzo, la più grande chiesa di questa eresia in Italia. Di nobile estrazione, proteggeva e fiancheggiava gli eretici locali. Proveniva da Agliate e divenne famoso per aver ordinato l’uccisione di Pietro da Verona, frate inquisitore, che messosi in strada da Como per raggiungere Milano, fu assalito da due sicari (Carino da Balsamo e Albertino Porro) in una boscaglia dalle parti di Seveso; fu trafitto da un colpo di roncola e morì dopo qualche giorno di agonia, a 46 anni. Lo stesso Confalonieri farà una brutta fine e verrà incarcerato a vita per ordine di papa Alessandro IV. Oggi le tracce urbanistiche dei catari concorezzesi sono pressoché scomparse, tuttavia qualche rimando alla loro esistenza è incontrovertibile: l’esempio più spiccio riguarda alcuni cognomi derivanti da “patarini”, altro nome con cui venivano designati i Catari, anche se in un suo studio, don Ercole Gerosa non condivide questa ipotesi.
La canzone: IL LANCIATORE DI COLTELLI
Il lanciatore di coltelli
Il fischiettare degli uccelli
La nebbiolina all’imbrunire
Della cicala il suo frinire
Le barzellette sui pompieri
Anch’io so leggere i pensieri
Il cacciatore e il suo fucile
I cani e i gatti del cortile
Quante storie passate così
Quanto tempo lontano da qui
Catarì, catarì, catarì…
Le caramelle del discount
Un vecchio libro di Ezra Pound
La guerra santa all’occidente
Ma la Jihad non c’entra niente
Il palazzetto dello sport
C’era una volta anche il jukebox
La vita degli emarginati
La barba lunga dei pirati
Quante storie passate così
Quanto tempo lontano da qui
Catarì, catarì, catarì…