December 10, 2024
#Cultura

Siamo entrati nell’ultimo baluardo della tessitura brianzola

Concorezzo. C’era una volta la Frette, c’era una volta la BBB e c’era una volta la tessitura lombarda e brianzola, famosa nel mondo. Oggi sono rimasti i marchi e, in alcuni casi, foto sbiadite. Al confine con Monza, in zona Malcantone, trova ancora oggi sede il Linificio “Forma” (www.forma-srl.com). Il nostro giornalista Fabio Ghezzi ha incontrato e intervistato il titolare Roberto Beretta, da decenni anima dell’attività. Un tuffo nel passato ma anche uno sguardo al futuro per capire come questo storico settore, in nome della qualità, possa resistere alla concorrenza cinese e alla globalizzazione. Alcune foto storiche saranno al centro della mostra sulla Lombardia e Abruzzo in calendario in Villa Zoja per Concorezzo d’Estate.

Come nasce la vostra attività?

-L’azienda nasce a Burago, accanto al fiume Molgora, nel 1932 col nome di ACI (Azienda Cotoniera Italiana) per diventare successivamente ALI (Azienda Liniera Italiana); è stata fondata da mio padre Giuseppe, e da allora è sempre rimasta a conduzione familiare; è probabilmente la più vecchia tessitura della Brianza.
Dopo ottanta anni siamo ancora qui, nonostante periodi di magra come nel periodo bellico; allora, per tirare a avanti, producevamo seta per paracadute per conto dello stato (l’unico modo per rimanere aperti, visto che come adesso non comprava più nulla nessuno).
Quindi siamo subentrati mio fratello Gualtiero ed io, ed abbiamo trasformato la produzione in produzione d’elitè, dedicandoci al lino e al cashmere. Nel 1994, a seguito della storica nevicata di quell’anno il vecchio tetto a shed rimase lesionato, e allora abbiamo deciso di trasferirci qui.
Contemporaneamente mio figlio Matteo è partito in Alzaia Naviglio Pavese con una commerciale tessile chiamata ‘Forma’; la Forma successivamente ha acquisito la Teber e la Ali, divenendo principalmente una azienda attiva nel settore dell’abbigliamento, mentre prima il 70% era destinato all’arredamento.

Com’era la produzione della ALI?

A Burago disponevamo di 100 telai in tutte le altezze, che allora servivano per produrre i diversi articoli: una fila in 70 cm per la camiceria e gli asciugamani (col crespo di lino), la fila dei telai in 90, in 150 (per arredamento e abbigliamento), in 180 per i tovagliati e il 240 per le lenzuola.
La parte commerciale invece ha sempre avuto sede in Monza, col nome di Teber (Tesseria Beretta). Quando ci siamo spostati qui avevamo 40 telai, poi il mercato ci ha costretto a dimezzarci. Oggi lavoriamo su due formati, il 165 (abbigliamento e arredamento per la casa) e il 340 (per lenzuola, tovaglie, tende…). –

Come definisce la situazione attuale?

Siamo andati sempre in crescendo fino al Duemila, quando con l’arrivo dei cinesi (con gli articoli base) e degli indiani (con gli stampati) abbiamo cominciato ad avere una concorrenza feroce. Qui intorno eravamo in tanti, oggi forse sono rimasto l’unico. Ma ancora fino a quattro/cinque anni fa dopotutto non andava malissimo: da allora abbiamo perso il 40%. Vecchi amici e concorrenti, quando mi capita di sentirli esclamano: “Ma te ghe l’heet anmò l’azienda? Ma ti te seet mat!”.
A Burago impiegavamo 62 donne, quando ci siamo trasferiti qui siamo scesi a 30, ora siamo rimasti in 14… Però in ottanta anni di lavoro non avevamo mai licenziato una persona: a gennaio siamo stati costretti a lasciare a casa due.-

Quali sono i vostri mercati?

Lavoriamo soprattutto per l’estero, a partire dalla Germania, la Svizzera, la Francia (solo coi grandi nomi), l’Australia e Nuova Zelanda (ma lì i cinesi sono entrati e hanno eroso il mercato), gli Stati Uniti (ma il cambio è completamente sfavorevole), proviamo il mercato brasiliano, addirittura quello cinese… Da quest’anno anche la Corea e i mercati nordici (anche se sembra un assurdo, ma il lino è molto apprezzato in Finlandia e Norvegia).
Lavoriamo per alcuni marchi famosi dell’alta moda, che altrimenti per linee economiche e medie comprano in Pakistan, in India, in Cina. Sulle prime linee invece, che per natura necessitano di prodotti esclusivi, in filati particolari e con determinate caratteristiche tecniche, riusciamo ancora a stare sul mercato.

E qui da noi?

Il mercato italiano è finito. Finché non consentiranno ai nostri dipendenti di trattenere, non dico il 100% o l’80%, ma almeno il 70% di quello che costano a noi… non avranno le risorse per spendere. Un operaio che guadagna 1300 euro, tra una balla e l’altra a noi costa più del doppio. Grazie poi al nostro amico Prodi c’è arrivata l’Irap, una tassa assurda sui dipendenti; più ne hai più tasse paghi!

Le grandi banche vi aiutano?

-La verità è che non ci sogniamo neppure più di avere rapporti! Io ho credito zero. Zero. Non si fidano più e vogliono delle garanzie che non stanno né in cielo né in terra: dobbiamo barcamenarci solo con le piccole banche che ancora ci fanno un po’ di credito. Dio ci preservi quei direttori capaci e competenti che ancora sanno venirci incontro.