Sognando il Monza in A, i ricordi di Marco Mariani
Concorezzo. Come sempre, in tribuna a godersi il Monza e il sogno della serie A c’era anche Marco Mariani, concorezzese doc, titolare della ditta di pavimentazioni Il Metroquadro. Lui i campi di calcio li ha calcati davvero, e tra i suoi ricordi c’è anche quella partita contro la blasonata Juventus in seire A, quando Mariani, cresciuto nella concorezzese, venne acquistato dal Como. Poi la carriera si è svolta a livello calcistico con Pignataro, Mathi nel Canavese, Vimercatese, Mariano comense e a livello lavorativo in città con la sua attività.
Con i lettori di Concorezzo.org Mariani ha voluto condividere questo testo, per ricordare ai tanti ragazzi di oggi il senso del gioco del “pallone”, che forse in passato portava con sè emozioni più vere
Nella foto una storica formazione del Monza con Maurizio Ronco, grande amico e compagno di stadio di Mariani
IL MIO CARO PALLONE (di Marco Mariani)
Noi ragazzini undicenni in quegli indimenticabili e nostalgici anni 60 avevamo pochi giochi con cui divertirsi , tra questi però c’era il gioco più economico e democratico di tutti .
Era una magica sfera di cuoio , in cui tutti noi ragazzini undicenni o giù di lì , come maghi indovini , ci specchiavamo e per magia ed incanto vedevamo materializzarsi i nostri sogni, un magnetismo umano che ci attraeva e ci procurava fantastiche visioni di gioco .
ERA ED E ‘ TUTTORA IL PALLONE
Portavamo i pantaloncini corti e con questi andavamo a scuola , li indossavamo sempre anche in inverno fatto eccezione il giorno della Comunione e Cresima, li erano lunghi e da cerimonia .
Il pomeriggio di tutti i giorni si giocava al pallone (il termine calcio arrivo’ più tardi ) in calzoncini corti , con l’attenzione di non strapparli, c’era un paio di fratelli i Longoni , Vittorio e Giancarlo dai genitori severissimi specialmente il padre che si mettevano in mutande per non rovinarli.
Le scarpe ,quelle erano il vero problema , se le rompevi eri condannato a prendere oltre ai giusti rimproveri anche qualche mano-rovescia , la più dolorosa di tutte le sberle , quindi per evitarle ,il più delle volte si giocava a piedi scalzi che provocavano le inevitabili vesciche .
I luoghi dove praticarlo erano i più disparati , i campi d’erba che ancora c’erano prima di essere ricoperti di cemento come cantava Adriano Celentano nei Ragazzi della via Gluck , oppure il catrame delle strade meno battute , dove quando arrivavano le poche auto in circolazione si gridava “macchinaaaa“ per poi riprendere a giocare, a volte ci davano fastidio pure quelle macchine , i guidatori rallentavano avvertendoci con suoni di clacson coscienti che tra di loro ci potesse essere anche il loro figlio, a volte qualcuno scendeva dalla macchina e tirava pure lui qualche calcio con noi facendoci vedere virtuosismi da grande .
Le porte erano i sassi più grossi che raccoglievano nei boschi limitrofi , i pali dove stavano quelli piu scarsi
a volte anche alternandoci in interminabili minuti erano fatti dalle cartelle dei libri del doposcuola ,si giocava finché il buio spegneva la luce del giorno .
Il pallone era di cuoio quando doveva rotolare sull’erba , aveva la valvola dove si introduceva la siringa della pompa che serviva per gonfiare la bicicletta, successivamente la si andava a riempire d’aria con l’attenzione di non farlo scoppiare , una volta successe e fu sgomento incredulità e tristezza pura.
Era rilegato dove stava la valvola con una stringa che quando ti capitava di colpirlo di testa , ti procurava dolore lasciandoti il segno per qualche minuto.
Era invece di gomma quando si giocava sulla terra battuta o sul catrame , chi lo possedeva lo portava al campo sottobraccio , a volte ne arrivavano anche due col pallone , per noi era il pallone di scorta , scegliere quello con cui giocare era un rito , lo si passava di mano in mano infine si sceglieva quello più gonfio che sarebbe rimbalzato meglio.
Noi ansiosi come lo vedavamo arrivare gli gridavamo “tiraaaa” lui un po’ geloso ma allo stesso tempo era contento di darci felicità , con un calcio la lanciava in alto il più possibile era il simbolo oltre che del fischio iniziale , della “manna caduta dal cielo “, appena toccava terra era adrenalina pura il corrergli dietro era contentezza ,era tutto per noi.
Dicevo era il gioco più democratico , perché a volte si faceva la colletta per comperarlo quando sempre giocando con quello di gomma veniva trafitto dalle punte della cancellata di ferro che era la porta , si bucava , non ci si poteva fermare , si raccoglievano gli spiccioli e una volta raggiunto la cifra necessaria ,uno si prendeva l’incarico di andare nella cartoleria più vicina , “ LA LAURA “ ad acquistarlo.
Quell’attesa era come l’intervallo tra i due tempi , si andava a bere alla fontanella , si rifaceva il nodo alla stringa della scarpa e poi via di nuovo a riprendere il gioco appena arrivava quel pallone a scacchi in bianco e nero rinchiuso in una reticella di plastica .
Giocando all’Oratorio per noi che arrivavamo dalla periferia del Malcantone fu un salto di qualità perché si facevano i tornei negli oratori-estivi dei mesi di luglio e Agosto , un Prete il don Sandro e poi il don Cesare ci sapevano fare per intrattenerci , si erano inventato questi campionati andata e ritorno bellissimi, alle formazioni veniva dato un nome di squadre mai sentite , quelli che mi colpirono di più erano il Real Madrid , ll Botafogo , il Liverpool , il Manchester United ed il Santos , erano gli anni di Pelé ed il Brasile per noi rappresentava il mito del calcio , ne sentivamo parlare da quelli più grandi , che il Brasile aveva vinto il campionato del mondo , che Pelé era un grande campione , per noi era tutto , lui era il mito da emulare.
Le figurine Panini vennero più tardi , li c’è ne sarebbe da raccontare , gli album erano difficili da completare , ve ne erano alcune di queste figurine ,introvabili come il portiere dell’Atalanta “Pizzaballa “ lui era un fantasma , pensavamo che non fosse neppure stampato .
Invece esisteva e chi lo aveva trovato non te lo faceva neanche vedere per la paura di danneggiare la figurina , andavi a casa sua a vederlo se te lo permetteva, così tu testimoniavi agli altri del suo possesso e lui diventava “ quello che lo aveva “ , tra gli amici diventava oltre che il più fortunato anche il più rispettato.
Per completarlo quell’album che si gonfiava ad ogni incollatura si scambiavano le figurine doppie , una volta terminato era il triplo di volume di quando avevamo iniziato la raccolta .
Il calcio d’angolo era il “Corner” il fallo di mano era “Ens” termini inglesi mai sentiti prima d’ora che ne testimoniavano la provenienza anglo-sassone , anche se pare questo gioco debba l’origine ad un gioco molto simile all’attuale calcio, del rinascimento fiorentino.
Quando finiva la partita ci guardavamo le ferite che ci eravamo procurato, il più delle volte erano semplici abrasioni da asfalto , l’infermeria dell’ oratorio aveva un reparto medicinali con acqua ossigenata ,alcool e cerotti a volontà , prima di rincasare ci medicava il prete stesso se la gravità era maggiore.
Quei pochi che non giocavano erano considerati traditori o paurosi disertori di pallonate guerre.
Chi tirava di punta era segnato come “broccò”.
Chi era bravo a pallone era il più rispettato del gruppo , se poi erano due quelli più bravi ,diventavano i capitani che facevano le formazioni , scegliendo per ruolo ed immaginando di costruire la squadra più forte per vincere.
Poi la sera nel mio letto mi portavo il pallone come compagnia , me lo coricavo sotto le coperte a dormire con me come le femmine facevano con le bambole .
Era l’innocente e stravagante e inconsapevole omaggio di un allora giovane ed in erba giocatore di calcio che ero io , l’omaggio più bello che potevo ricevere, la testimonianza ludica del gioco più bello del mondo , il gioco del Pallone.