“Perché è sbagliato esaltare la figura dell’anarchico Bresci”
Percorrevo quest’estate il Viale Cesare Battisti e rallentando al semaforo il mio occhio cadde su una scritta all’altezza della Cappella Espiatoria che mi risultò molto strana “29 luglio 1900 – viva Bresci!” con alcune vocali che richiamano sicuramente il movimento anarchico. Mi sono subito chiesto com’è possibile che sotto questo cielo, ad oltre un secolo si possa ancora inneggiare all’esecutore di un efferato delitto? Come Docente ho provato un senso di grande imbarazzo pensando a tutti quei ragazzi che vengono male informati sulla storia, che leggendo queste scritte possono crescere privi di valori di legalità e di rispetto della vita umana.
Ricordo l’Emile di Jean-Jacques Rousseau, non solo per il cosiddetto “patto sociale” -che si è determinato dalla teorizzazione dell’applicazione del suo modello-, ma soprattutto per il bagaglio e l’impegno profuso per l’educazione, per quella scienza che chiamiamo pedagogia: egli vede il bimbo come una tabula rasa, gli anni verdi sono come dei campi che innaffiando e curandoli si può giungere alla costruzione dell’homo novus. Mi ha sempre affascinato quel suo dirci che «l’infanzia è il sonno della ragione» e che occorre progredire e crescere affermando un impegno continuo. E per costruire giuste persone per il futuro sottolineava quest’assioma, a mio dogmatico, che tutte quelle «idee generali e astratte sono la fonte dei più grandi errori degli uomini».
Monza città operosa non merita certo di essere ricordata soltanto per l’eccidio del Re d’Italia. Indubbiamente, è stata a lungo sede del Regno d’Italia custodendo la “Corona di Ferro” che molti regnanti hanno impiegato come particolare diadema nella loro investitura.
Nei ricordi della mia infanzia la nonna mi raccontava di un certo “re buono” che distribuiva su questo viale ai ragazzini assiepati che domandavano al suo passaggio “Re, re damm’ un cinq ghei” e bonariamente, dall’alto del suo destriero, distribuiva ai piccoli monzesi la sua carità, apprezzando la spontaneità, lo scomposto roccolo vociante e in festa, l’allegria dei giovani brianzoli. Oppure le visite che Sua Maestà Vittorio Umberto I faceva alla “Forte e Liberi” che lui stesso inaugurò, quale sportivo.
Questa scritta non è degna né di Monza, né dei monzesi, a prescindere da ogni ideologia politica, o ogni bandiera. Anche quest’anno il grande circuito della Formula 1 ha fatto tappa a Monza, nel parco reale, e tutti hanno potuto leggere queste scritte anarchiche che non giovano all’immagine della Repubblica Italiana nel mondo; non si può lottare un’ideologia di morte, il terrorismo, e consentire l’apologia del medesimo solo perché è di un altro stemma, colore o forma costituzionale.
Certo che come sottolinea Rousseau valga «molto di più avere la costante attenzione degli uomini che la loro occasionale ammirazione» ritengo che oggi le forze cittadine debbano reagire a questa vile aggressione ideologica, per evitare altre derive, altre apologie di regicidi o di qualsiasi essere umano. Anche quel Re era un italiano e a Sua Maestà Umberto I il nostro rispetto, la nostra considerazione poiché tutti sono eguali, ciascuno deve avere rispetto della vita altrui, della propria e anche dei defunti, a qualunque ceto appartengano!
Queste le idee noiose di un prof che pensa alla storia come paladina e foriera di ricchezze.
Aulo Persio Flacco -grande poeta satirico italiano- indicò che «intus et in cut» -ovvero dentro e sotto la pelle- possiamo conoscere la nostra coscienza e che questa è plasmata anche dall’ambiente nel quale viviamo. Nel suo terzo capitolo dell’opera “Satire” sottolinea che «venienti occurrite morbo» -essendo compito nostro arginare il male dilagante- poiché «de nihilo nihilum, in nihilum nil posse reverti».
Auguriamoci che si possa risolvere questa disgustosa indifferenza, che genera odio e nuovi drammi, affinché dal niente sappiamo -come sottolineava il grande Aulo Persio Flacco-porre rimedio, affinché non può nascere nulla e niente può finire in nulla.
Consentitemi, senza retorica, viva l’Italia!