Andiamo in mensa! Ecco cosa ne pensano gli esperti
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento del medico e biologo concorezzese, Remo Edgardi, nella speranza di stimolare se non un dibattito, almeno una riflessione sull’importanza della ristorazione collettiva. (Dr.Remo Carlo Egardi, Ordine Nazionale dei Biologi n°iscriz.25794)
La ristorazione collettiva, luci e ombre
Dall’asilo alle case di cura,dagli ospedali alle fabbriche la parola mensa richiama spesso nelle nostre menti cibo scadente,troppo cotto o troppo crudo,pesante o scondito,in sintesi poco soddisfacente. La cosiddetta “ristorazione collettiva”,momento di condivisione sociale e di terapia per chi crede che il cibo, come già sosteneva Ippocrate, è anche medicina,si trasforma in una vera e propria opportunità persa e cibo sprecato.
Nelle mense c’è un nesso di casualità tra chi eroga il servizio e il consumatore; si è lì per altri motivi:curarsi, studiare,lavorare, fruendo di un servizio offerto dall’ente ospitante che,con la stessa casualità, eroga una prestazione collaterale alla propria attività principale.
Chi fornisce direttamente o in appalto un servizio di ristorazione collettiva dovrebbe pensare che la qualità delle pietanze servite incide sulla percezione che l’utente ha dell’esperienza vissuta presso la struttura ospitante e,senza ombra di dubbio, può fare la differenza in termini di salute,qualità della vita e performance psicofisica.
La ristorazione collettiva può essere a gestione diretta o indiretta:nella diretta l’ente possiede un centro cottura o una cucina occupandosi direttamente delle forniture alimentari secondo le modalità previste dalle norme dei settori di riferimento. Gli acquisti avvengono attraverso grossisti e piattaforme, con contratti annuali e regolamentati dal Testo unico sugli appalti pubblici che può essere vincolante per la scelta dei fornitori se gli acquisti superano una certa cifra (soglia comunitaria);in tal caso la selezione del fornitore deve avvenire tramite una gara pubblica di rilevanza comunitaria. Diversamente si può avviare una trattativa diretta con più produttori precedentemente selezionati,anche frazionando gli acquisti in tante procedure diverse quante sono le categorie merceologiche, come fanno alcune Amministrazioni pubbliche, avendo di conseguenza un controllo diretto della filiera.
La gestione indiretta prevede,per una azienda privata,un contratto stipulato con una ditta di ristorazione collettiva; per una azienda pubblica è prevista una gara pubblica definita tramite capitolato di appalto, regolamentato sempre secondo il Testo unico sugli appalti pubblici. Il bando di gara può definire l’aggiudicazione secondo due criteri previsti per legge: dell’offerta più bassa e dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Mentre nel primo caso l’unico criterio previsto è il prezzo minore,nel secondo viene preso in considerazione anche l’aspetto qualitativo. Ogni amministratore può assegnare un diverso valore ai due criteri assegnando per esempio anche il 70% al criterio della massima economicità e solo il 30% alla qualità del prodotto. In ogni caso è obbligatorio il rispetto della normativa igienico/sanitaria e di sicurezza sul lavoro. Le varie certificazioni Iso,che possono accompagnare il servizio offerto, riguardano la sicurezza alimentare(Iso 9001 e 22 000),la gestione interna dell’azienda (Iso 26 000),i sistemi di gestione ambientale (Iso 14 000). Le Asl indicano sia il rispetto di specifiche caratteristiche dei prodotti sia l’apporto nutrizionale del pasto offerto. Purtroppo quasi sempre i criteri di filiera e di stagionalità,soprattutto per frutta e ortaggi,non sono tenuti in considerazione. In controtendenza si può però notare che in alcuni capitolati vengono inseriti,come criteri qualitativi,la stagionalità,la produzione locale e le tecniche biologiche di coltivazione.
Questo dimostra che esiste un crescente interesse per una alimentazione che vada oltre “la sicurezza alimentare” e superi il calcolo calorico e la grammatura come paradigma di corretta alimentazione. Purtroppo soddisfare queste richieste, per le aziende, risulta piuttosto problematico causa le obsolete logiche che caratterizzano gli acquisti all’ingrosso e le tecniche industriali di produzione dei pasti per la ristorazione collettiva.
I controlli qualità delle derrate alimentari, sia nella gestione diretta che indiretta,sono solitamente effettuati con livelli di accuratezza e di scientificità che l’azienda decide di adottare.
Nel 2009 il Ministero della salute ha emanato una direttiva per migliorare la qualità nutrizionale e la sicurezza del cibo che viene somministrato ai pazienti ospedalizzati. Nonostante ciò in moltissimi ospedali si mangia male. Il cibo,troppo spesso scadente,viene rifiutato dai degenti che presentano, 1 su 3, fenomeni di malnutrizione. Purtroppo,anche a causa di una scarsa sensibilità nel mondo sanitario,tutto ciò viene accettato come un fatto inevitabile giustificato come una “normale inappetenza” dei malati. La scarsa attenzione all’alimentazione nella cura, prolunga inevitabilmente i tempi di degenza a volte con il ricorso alla riospedalizzazione con un consistente aggravio dei costi sanitari. E’ risaputo che le malattie acute, curabili in ambito ospedaliero,necessitano invece di un incremento di vitamine,sali minerali,oligoelementi,proteine e carboidrati complessi. Il cibo per poter fornire tutto l’aiuto di cui un malato ha bisogno deve possedere anche caratteristiche di freschezza,sapore,genuinità,assenza di sostanze chimiche indesiderate,elementi che ancora in troppe strutture mostrano carenze inaccettabili.
Per promuovere un cibo buono è necessario migliorare il sistema di prenotazione pasti con conseguente razionalizzazione dei menù e una drastica diminuzione degli sprechi. L’uso di attrezzature ad alta tecnologia risulta utilissimo per migliorare ulteriormente la qualità del servizio erogato. Completa la strategia la scelta di prodotti locali biologici di stagione e,dove possibile,a filiera corta. Freschezza,abitudini alimentari regionali,gusto(che non è controindicato in una dieta ospedaliera )possono spingere i pazienti ad alimentarsi in modo corretto. Il benessere alimentare dovrebbe,a pieno titolo,entrare a far parte della cartella clinica del paziente essendo parte integrante dei delicati meccanismi di guarigione. L’uso di piante aromatiche sia fini che robuste,dove non sussistano controindicazioni,andrebbe introdotto come sana pratica di cucina sfruttando anche le notevoli proprietà curative e coadiuvanti di queste piante. Nelle mense scolastiche il cibo deve stimolare la fantasia dei bambini per essere un momento di educazione alimentare inteso come scoperta di nuovi sapori e riconferma di cultura e tradizioni locali. Andrebbero evitare imposizioni ad assumere a tutti i costi certi alimenti, se non graditi, confondendo inutili insistenze con “educazione alimentare”.
Nella ristorazione aziendale le maestranze dovrrebbero ritrovare il piacere della convivialità evitando di ridurre il momento della pausa pranzo ad un rapido spuntino a base di yogurt e acqua minerale perché il resto è meglio lasciarlo dov’è! Solo con un cibo che scaldi muscoli, cervello e cuore, la seconda parte della giornata potrà essere vissuta nel pieno delle proprie potenzialità psicofisiche.
Soprattutto in ambito scolastico ed ospedaliero,la volontà di trovare una soluzione per migliorare la qualità del servizio offerto è fortemente cresciuta, accompagnata anche dalla determinazione di eliminare inutili sprechi . Il cibo che per varie motivazioni non viene utilizzato o viene rifiutato, concorre ad aumentare i costi della ristorazione collettiva e finisce per influire negativamente anche sulle dinamiche ambientali. Non sprecare,trovare le giuste quantità per ognuno,recuperare ciò che può essere riutilizzato deve rappresentare un impegno per tutte le Amministrazioni,pubbliche o private, che credono nell’alimentazione non solo come atto dovuto e incidentale.
Come già accennato,dati di letteratura internazionale sottolineano che oltre un terzo dei soggetti ricoverati in ospedale sono a rischio malnutrizione,il dato è ancora più preoccupante quando prendiamo in esame i pazienti anziani degenti in ospedale o in rsa. La malnutrizione oltre a compromettere la corretta funzione di organi e apparati,riduce la risposta immunitaria,aumenta il rischio di infezioni,condizione negativamente i risultati delle terapie. Ovviamente quando parliamo di malnutrizione ci riferiamo alla condizione successiva all’offerta di cibo scadente,servito appena tiepido o freddo e privo di ogni stimolo olfattivo,visivo e di sapore che viene quasi sistematicamente rifiutato dai degenti. Purtroppo è così radicato questo malcostume alimentare che pazienti,parenti,medici,infermieri e dietisti accettano spesso supinamente questo errore/orrore terapeutico giustificandolo con la scusa-“è cibo da ospedale! ”-. Approfondite valutazioni in ambito ospedaliero evidenziano che, per esempio, il trauma chirurgico induce uno stato di ipermetabolismo e ipercatabolismo che,se non sostenuto adeguatamente da una corretta alimentazione,evolve in una rapida proteolisi muscolare seguita da una deplezione di importanti proteine circolanti e viscerali. Per correggere e sostenere i malati da errori nutrizionali ,la sanità inglese ha calcolato che occorrono 7,3 miliardi di sterline/anno pari al 10% del costo totale della sanità inglese.
In questi anni,anche per l’applicazione di norme comunitarie,si sono ottenuti importanti risultati in tema di sicurezza alimentare,adottando per la gestione dei rischi sanitari il sistema di autocontrollo igienico Haccp che ha ridotto drasticamente i problemi legati a tossinfezioni alimentari. Diversa attenzione si è adottata per il rischio nutrizionale che necessità di interventi ben più accurati e che prevedono un approccio multidisciplinare. Eccezionalmente, e solo quando il paziente ospedalizzato soffre di patologie che potrebbero peggiorare con l’assunzione di alcuni alimenti, si procede durante la terapia medica e alla dimissione,ad una vera e propria educazione alimentare . L’orizzonte di gestione di un paziente dimesso dovrebbe prevedere un supporto culturale per migliorare l’alimentazione a domicilio,scongiurando fenomeni di cattiva alimentazione che potrebbero riportare in ospedale il paziente o ricondurlo a quegli errori alimentari causa diretta o indiretta della sua patologia.
Nel 2008 il progetto “Guadagnare salute” del Ministero della Salute si proponeva ,tramite un questionario, di realizzare un’indagine conoscitiva sullo stato della ristorazione negli ospedali e nelle rsa. Su 800 strutture interpellate solo 81 hanno risposto all’indagine. Tale risultato evidenzia quanta poca attenzione venga posta,dal mondo sanitario,all’alimentazione dei degenti.
Per inseguire la massima economicità e praticità circa il 50% degli ospedali italiani preferisce approvvigionarsi da uno o pochi fornitori;così facendo difficilmente si interpreta il criterio di prodotto locale,stagionale a filiera corta e biologico. Il costo medio della giornata alimentare è di circa 12 euro pari al 3% circa del costo medio di una giornata di degenza. Esiste perciò uno spazio considerevole per aumentare la qualità del servizio che potrebbe incidere maggiormente sul costo giornaliero del paziente, riducendo però i tempi di degenza e tutti gli aspetti negativi legati alla malnutrizione con notevoli risparmi per il Sistema sanitario.
Pur essendo disponibili, nella quasi totalità delle strutture sanitarie,diete standard per certe patologie e menù vari, risulta però essere spesso carente la composizione in nutrienti.
Chi deve essere ricoverato in ospedale o in rsa,si trova nella condizione di non poter più decidere il proprio menù quotidiano. Spesso deve abbandonare buone pratiche di alimentazione fatte di prodotti freschi di stagione spesso biologici e a filiera corta, per passare a un regime alimentare standardizzato e privo di tutte quelle caratteristiche che fanno della tavola un momento di godimento e spesso di convivialità. In altri casi il paziente arriva nella struttura di ricovero già affetto da malnutrizione; se il paziente ha la fortuna di capitare in strutture”illuminate”, la degenza può anche diventare momento di buona alimentazione e occasione di educazione alimentare.
Contrariamente agli ospedali più del 50% delle rsa gestisce la ristorazione in modo diretto; in questi casi il rapporto tra degenti,cuochi e personale è molto stretto e potrebbe permettere una migliore gestione dei menù ,dei tempi di cottura della qualità delle materie prime. La gestione diretta solitamente evita anche una eccessiva permanenza dei pasti nei carrelli termici che, pur permettendo di mantenere una sufficiente temperatura dei piatti serviti, omogeneizza i profumi delle varie pietanze conferendo una sorta di anestesia olfattiva; il riconoscimento olfattivo dei cibi dovrebbe invece caratterizzare il primo importante approccio al pasto per stimolare appetito e digestione. Circa l’85% delle rsa che gestiscono i servizi di mensa in modo indiretto,lo fa seguendo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In molte rsa il rispetto delle tradizioni alimentari e della cultura alimentare entra come parte integrante del programma alimentare,riconoscendo che la qualità di vita, in una struttura sanitaria, può passare anche attraverso un pasto appagante.
In un variegato panorama nazionale emergono,in questo settore,delle vere e proprie eccellenze. Sono centri come la Residenza Casa del Sole di Favria Canavese(To),che organizza piccoli mercati dei produttori locali nei loro spazi esterni e cura piccoli orti a scopo riabilitativo e produttivo,l’Istituto Opere Pie d’Onigo di Pederobba (TV)che lavora sulla selezione dei fornitori e sulla creazione di spazi di ristorazione ampi e luminosi e che si impegna a recuperare la valenza terapeutica del pasto.
Per migliorare il rapporto cibo- paziente bisognerebbe effettuare rilevazioni antropometriche,calcolare i BMI (Body mass index) e compilare un test di screening nutrizionale. Si potrebbero,con questi dati,individuare i pazienti affetti da malnutrizione attivando modifiche della dieta o somministrazione di integratori alimentari.
Anche la modalità di servizio dei pasti andrebbe migliorata. Esistono purtroppo ancora molti esempi di cibo somministrato in piatti di plastica da personale che ha fretta e che priva il ricoverato del nome e del cognome appellandolo con “cara” o “nonno”. Vengono ancora portati via piatti pieni se il paziente rifiuta un cibo o non può alimentarsi agevolmente da solo,senza segnalare il fatto a medici e infermieri. Tali comportamenti andrebbero modificati creando una sinergia tra paziente,addetto alla distribuzione dei pasti,infermieri e medici.
Nella compilazione dei menù esistono alcuni cibi che, pur possedendo un altissimo tenore nutritivo, non vengono quasi mai presi in considerazione. I germogli di erba medica,crescione,lenticchie,soia, girasole ecc.. ,sono vegetali che contengono elevate quantità di vitamine,sali minerali,proteine difficilmente reperibili, nelle stesse proporzioni, in altri alimenti di origine animale o vegetale. Specie come l’erba medica, allo stato di germoglio, sono in grado di fornire tutti gli otto aminoacidi essenziali e,a differenza delle proteine animali, non introducono nell’organismo una eccessiva quantità di grassi. Il sapore,la freschezza e la vitalità dei germogli potrebbero giustificare uno spazio importante nei menù arricchendo insalate o costituendo un “croccante” contorno misto con sicuri benefici per la salute. Con i germogli le proteine vengono introdotte nel nostro organismo già trasformate in aminoacidi e complete di dosi di vitamine indispensabili al loro assorbimento. Sono quindi più digeribili ed essenziali per il processo di rinnovamento delle cellule,per la digestione e l’assimilazione dei cibi. Solitamente le pietanze servite in ospedale contengono una bassa quantità di sale. Per migliorare il gusto dei cibi, senza aumentare troppo il contenuto di sale, si può ricorrere all’utilizzo delle erbe aromatiche. Questi scrigni di sostanze utili rispondono al nome di: timo,maggiorana,rosmarino ,salvia,basilico,origano ecc.. Queste erbe devono i loro meravigliosi profumi agli oli essenziali della famiglia dei terpeni che sono in grado di facilitare l’autodistruzione delle cellule tumorali. L’epigenina contenuta nel prezzemolo è,per esempio,un antinfiammatorio in grado di ridurre la capacità di proliferazione dei vasi sanguigni che nutrono le cellule tumorali.
Le raccomandazioni elaborate nell’ambito di un progetto del Ministero della Salute,Regione Piemonte e Slow Food Italia – “La ristorazione collettiva negli ospedali e nelle strutture assistenziali per anziani : sviluppo di buone pratiche”- ,ribadiscono che solo considerando il pasto nella sua complessità di aspetti nutrizionali,culturali,gastronomici e psicologici potrà essere raggiunto l’obiettivo fondamentale di salute e di benessere dell’utente insieme alla sostenibilità ambientale,sociale ed economica.